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Il fianco che il massiccio del Monte Lesima e del suo vassallo Lesimina porge al Trebbia è una gigantesca ripa scoscesa e fitta di boschi che si protende verso il cielo per mille metri. Quella verde parete, solcata da canaloni, incute un reverenziale timore accresciuto dal cupo nome attribuitole: Valle dell'Inferno. È difficile, per chi sta viaggiando lungo la statale e, dunque, lungo il Trebbia, credere che sia possibile avventurarsi su quei pendii immaginati impraticabili per l'inclinazione del terreno e il rigoglio della vegetazione. Eppure, nascosto alla vista dal fogliame, un sentiero sale alle due vette. Nasce a Rovaiolo Vecchio, antico borgo che l'ubicazione al di là del Torrente Avagnone ha reso nel tempo quasi disabitato, ed è ufficialmente etichettato dal CAI col numero 125, contrassegno che mantiene fino all'incrocio a quota 1300 m con il 123, diretto al Lesima da Zerba. Attraversa prima un castagneto secolare, in mezzo al quale mantiene una pendenza moderata; poi si inerpica, quasi mai uscendo allo scoperto (ma quelle poche volte che gli alberi si diradano la veduta sul Trebbia è di non comune bellezza). Soprattutto con il fango occorre spesso aiutarsi aggrappandosi ai tronchi.
Paradossalmente, la maggior attenzione va rivolta ai pochi tratti pianeggianti, tagliati nel mezzo di ripide coste: spesso il sentiero è così stretto da non consentire di appaiare i piedi. Ciliegina (un po' avvelenata) sulla torta è la roccia da scalare, per cinque metri e aiutati da due corde saldamente annodate già predisposte in loco, appena prima dello sperone panoramico che, in questa sede, si considera capolinea dell'itinerario. Qualche problema aggiuntivo può dare l'orientamento: in mezzo al bosco è facile confondere un casuale allineamento di alberi con una traccia di sentiero e trovarsi poi in pericolo. È buona norma, quindi, verificare la presenza del segnavia - peraltro ottimo - almeno ogni 50 metri; una sua latitanza più prolungata può voler dire che si sta sbagliando strada. In quel caso la cosa migliore da fare è tornare sui propri passi fino a ritrovare l'ultimo bollo biancorosso, provando a marciare con raddoppiata attenzione.
Andando verso Ottone, arrivati a Ponte Organasco si gira a destra seguendo le indicazioni per il Passo del Brallo e Voghera. Si raggiunge presto la frazione di Pianellette e la si attraversa. Quando se ne esce, ci si riferisca al cartello "Pianellette" che incontra chi viaggia in senso opposto al proprio: 250 metri più avanti, appena prima di una curva a destra, si volta a sinistra in una stradina che scende verso il Torrente Avagnone. La si percorre per fermarsi nella piazzola a due passi dal ponte sul corso d'acqua.
Due sono le possibilità di superamento del torrente: attraverso il ponte o guadandolo. Il ponte è ovviamente comodo, ma conduce nel bel mezzo di una frana; il guado crea un disagio, ma porta a una carreggiabile molto confortevole. Poiché la scelta non è del tutto arbitraria, ma è vincolata al livello e alla forza dell'acqua, si descrivono entrambe le vie.
Il ponte: dalla piazzola di parcheggio si prosegue sull'asfaltata (è questione di 20 metri) fino a trovarsi sul ponte. Una volta oltrepassatolo si affronta il pendio franato davanti a sé, puntando verso l'alto a destra, in modo da passare nell'unico varco che la boscaglia offre ai margini dello smottamento. Così fatto, ci si dirige a sinistra attraverso due alberi che sembrano gli stipiti di una porta ideale; non molto lontano si vedono già le case di Rovaiolo Vecchio, verso le quali si cammina tra l'erba, per raggiungerle in pochi minuti.
Il guado: dalla piazzola di parcheggio si imbocca, dei due sentieri che si staccano a destra, quello che inizialmente corre parallelo all'asfaltata. Si arriva quasi subito al torrente, appena più a monte di una briglia in cemento. Attraversato il corso d'acqua (se il suo stato e, soprattutto, la ragione lo permettono!) si approda a una carreggiabile che, in 10 minuti, accompagna fino a Rovaiolo Vecchio. Quale che sia stata la strada scelta, in mezzo al minuscolo borgo si nota su un muro il segnavia 125 del CAI.
Se ne segue l'indicazione e, subito dopo una fontanella, si gira a destra, entrando nel castagneto. La stradina è, per il momento, lastricata, ogni tanto costeggiata da un muretto a secco. Si tiene alla propria sinistra l'ultima casa accanto alla quale si passa, si cammina nel prato per 20 metri e si piega a sinistra, tornando tra gli alberi. Dopo meno di 10 minuti si sta a destra, sul lastricato, al bivio che si incontra, mentre 5 minuti più tardi si lascia la direzione principale per girare a sinistra, guidati da un segnavia piegato a boomerang. Ancora a sinistra si va quando, 7 minuti dopo, ci si immette in un sentiero che corre perpendicolare al proprio. È l'inizio di un tratto pianeggiante che dura 3 minuti; occorre non lasciarsi sfuggire la svolta a destra, segnalata dal bollo biancorosso, proprio dove comincerebbe la discesa. A destra, quindi, per avere un primo assaggio della reale pendenza da affrontare.
Per circa un'ora si cammina senza avere alternative, a conferma dell'asperità della zona, che fa del sentiero l'unica traiettoria ammissibile. Qualche volta ci si affaccia sulla Valle dell'Inferno, in fondo alla quale, sempre più in basso, si dipanano le anse del Trebbia; più spesso, quasi costantemente, si è invece nel fitto del bosco. L'attenzione va tenuta sempre viva, ad evitare brutti scivoloni. Finalmente ci si imbatte in una roccia, ancora affondata nel verde, che sbarra il passo; due corde, fissate solo a monte, sono lì a porgere aiuto nella salita. Superato l'ostacolo si punta a sinistra e si raggiunge, qualche metro più in alto, lo sperone che rappresenta il punto d'arrivo di questo itinerario.
Il ritorno avviene per la stessa strada; la discesa, meno faticosa per gambe e polmoni, richiede tuttavia un'ancor maggiore dose di prudenza: trovarsi seduti per terra o peggio può essere questione di un attimo. In un'ora ci si ritrova a Rovaiolo Vecchio, dove si sceglie la direzione già preferita all'andata (ma nulla vieta di cambiare idea): attraverso i prati, verso il ponte, oppure per la carreggiabile fino al guado. Ancora un quarto d'ora e si passa al di là del torrente per risalire finalmente sull'automobile.
Tratto da "Sentieri Piacentini 2" di Giorgio Carlevero
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