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Dal Passo Del Tomarlo ai Monti Maggiorasca, Bue e Nero

Presentazione

Il Monte Maggiorasca è il gigante che, dall'alto dei suoi 1.799 m, domina le cime circostanti, di poco più basse, e la vallata di Santo Stefano d'Aveto. Sul basamento della statua posta in vetta qualcuno ha indicato l'altezza di 1.800 m, evidentemente stizzito da quel metro galeotto mancante e, in fondo, non senza ragione, visto che la scritta è verniciata a circa un metro dal suolo. Ironia a parte, il Maggiorasca è una cima davvero maestosa, situata in provincia di Genova a due passi da quella di Piacenza, e ancor più vicino a quella di Parma, dalla quale dista, in linea d'aria, poco meno di 250 m.

Il monumento cui si è fatto cenno (una Madonna benedicente) sorge in realtà su uno sperone proteso verso Santo Stefano, idealmente considerato il punto più alto del monte, perché la vera vetta, arretrata rispetto alla valle e unita al primo da una sella, è occupata da impianti di trasmissione. Altezza e ubicazione rendono straordinaria la visuale, che copre praticamente tutti i monti del piacentino e si perde all'infinito, fin oltre il Trentino, accompagnando la cerchia alpina dal suo nascere in Liguria. Una volta in quota sarebbe un peccato non approfittare per rendere omaggio agli imponenti dirimpettai, autentici piacentini almeno per un versante: raggiungere il Monte Bue e il Monte Nero, in successione, è impresa da poco, anche perché un comodo sentiero che si incontra tra i due riporta verso il Passo del Tornarlo, punto di partenza, senza obbligare a tornare sui propri passi.

Se il Bue (1.771 m) non aggiunge molto a ciò che dal Maggiorasca si è potuto ammirare, il Nero (1.752 m) offre un suggestivo scorcio sul sottostante omonimo lago. Tutto l'itinerario si svolge in piena sicurezza, con la sola eccezione del breve tratto sulla sottile cresta terminale del Monte Nero, dove il sentiero si affaccia su strapiombi. È bene rispettare i propri limiti; rinunciare eventualmente a quegli ultimi 30 metri non può certo rendere meno affascinante la camminata.

L'avvicinamento in auto

Si superano Ferriere, Selva e il Passo dello Zovallo per arrivare esattamente al Passo del Tornarlo. Si parcheggia dove la banchina lo permette, all'altezza dei due cartelli stradali che indicano uno la fine della provincia di Parma, l'altro l'inizio del comune di Santo Stefano d'Aveto. 

L'escursione

Il sentiero, indicato da una rudimentale freccia in legno affissa a un paletto, parte a destra, appena oltre il cartello del comune di Santo Stefano. La pendenza è subito sensibile; occorre accettare l'idea che la maggior parte dei 340 m di dislivello sarà erosa nella prima mezz'ora di marcia. Un segnavia a doppio bollino giallo guida dapprima attraverso i prati, poi nella faggeta, dove sono frequenti anche i ginepri; alla propria destra si costeggia una pineta, separata da una recinzione in filo spinato. Accanto ai due bollini appare ogni tanto una macchia rossa informe, probabile residuo di un vecchio, approssimativo segnavia. Dopo circa 5 minuti la marcatura gialla è applicata a una scaletta che scavalca la recinzione lungo la quale si sta camminando e che, all'apparenza, invita a superare; è un falso segnale, si deve proseguire dritto, come d'altronde risulta evidente guardando il fitto fogliame al di là del passaggio. Al bosco si alternano i prati, mentre la pendenza aumenta ancora; nelle zone aperte si vede davanti a sé un primo dente di roccia al quale ci si avvicina. Quando lo si è quasi raggiunto, il sentiero concede tregua, divenendo pianeggiante; lo sperone viene aggirato sulla destra. La salita ricomincia, anche se meno accentuata di prima, alla volta di un'altra protuberanza del terreno, che si raggiunge quando si è in marcia da circa 25 minuti. 

Qui si incontra un primo bivio, al quale l'eccellente segnavia toglie subito d'impaccio: a sinistra, in salita, si va per il Monte Croce Martincana, a destra, in discesa, per il Maggiorasca. In questa sede si prosegue subito a destra, ma la variante ad andata e ritorno per il Croce Martincana è sempre attuabile con una minima aggiunta di sforzo. Appena oltrepassato il bivio ci si accorge che i due bollini gialli hanno lasciato il posto a una croce greca gialla (in parole povere, a un segno "X"). Si continua dritto anche 5 minuti più tardi, quando un cartello indica Rocca del Prete a sinistra, e presto si arriva a un grande prato dal quale la cima del Maggiorasca è ormai chiaramente visibile. Il fedele segno "X" riconduce in faggeta, poi di nuovo all'aperto, e via di seguito mentre la strada piega leggermente a sinistra e in discesa, apparentemente allontanandosi dalla meta; in realtà si sta entrando nell'avvallamento di raccordo tra il Picchetto, a sinistra, e il Maggiorasca, adesso a destra, per affrontare di taglio e ammorbidire l'erta finale. A conferma arriva qualche minuto più tardi, in mezzo al bosco, il bivio decisivo: dritto si va per Prato Cipolla (un cartello lo spiega chiaramente), a destra verso la cima, direzione che si prende cercando di non lasciarsi impressionare dalla pendenza, affaticante ma mai pericolosa, perché la marcia si svolge prima tra gli alberi, poi nei prati, sempre lontano dai dirupi.

È un momento di forte suggestione quello in cui si arriva a ridosso del granitico blocco sommitale e lo si aggira procedendo a destra. Gradatamente si apre il cielo a sinistra, sulla sella che va dal dente meridionale all'autentica vetta; la fatica non si sente più, sconfitta da quell'apertura improvvisa che, da sola, sarebbe giustificazione sufficiente all'intera camminata. Si guarda, increduli, l'orologio: sono trascorsi soltanto 50 minuti da quando si è lasciata l'automobile (se non si sono fatte soste). In centro alla sella è un piccolo altare in legno con una croce, a sinistra la Madonna di cui s'è detto, con un bel parapetto in legno, sullo strapiombo, e una panchina, a destra i ripetitori televisivi e telefonici. Quando si decide di ripartire si scende oltre la sella piegando a destra, in direzione del vicino Monte Bue, prossima tappa, che la stazione della cabinovia e il rifugio, purtroppo ormai fatiscenti, rendono inconfondibile. In poco più di 5 minuti si supera un prato intermedio in falso piano, poi si gira a sinistra lungo un'evidente discesa fino ad arrivare alla base della salita che, un po' a destra, sale rettilinea fino al Bue; a sinistra, come riferimento, la larga pista che scende a Prato Cipolla.

Altri 5 minuti e la cima è raggiunta; si prosegue, lasciando a sinistra le costruzioni, e si arriva al grande prato in pendenza che si restringe fino a rimanere comunque una larga "superstrada" tra due boschetti. I segnavia, ora biancorossi, sono sempre presenti, ma la struttura del terreno e il Monte Nero davanti a sé li rendono superflui. In qualche minuto si arriva a un altro grande prato, nel punto più basso del raccordo tra Bue e Nero: un cartello del Cai nel suo mezzo indica che per il Monte Nero bisogna andare dritto (sentiero 003), mentre per il Lago Nero occorre andare a sinistra (001); aggiungiamo che, a destra, dove è visibile un varco nel filo spinato, si prenderà poi la strada del ritorno. Per il momento si procede dunque dritto, cominciando subito a salire sul crinale, del quale si raggiunge in 7 o 8 minuti una prima vetta. Poi, con altri 10 minuti abbondanti, si è sulla sommità del Monte Nero, da dove si domina il sottostante lago; i metri finali richiedono una certa attenzione.

Il ritorno avviene sui propri passi per tutta la cresta, finché si arriva alla sella dove si era incontrato il cartello del Cai; lì si gira a sinistra, passando oltre il filo spinato attraverso un contorto pertugio costruito ad arte per impedire il passaggio del bestiame e, forse, delle moto. Ancora una volta la discesa si sviluppa tra due boschi per aprirsi in un prato che declina a destra; anche se non ci fossero i segnavia, la semplice regola sarebbe lasciarsi portare dalla pendenza. Si arriva a una baracca in lamiera, base di un impianto di skilift, e a un piccolo edificio in pietra, poi si entra nella macchia, in un varco tra gli alberi che non lascia spazio a incertezze. Qui la pendenza diventa più accentuata (ma si è in discesa); si sta quasi sempre al coperto, e quando, sulla destra, la veduta si allarga, sono ben in vista il Monte Tornarlo e il Penna. All'uscita dal bosco ci si ritrova sull'asfalto della statale; lo si segue a destra per tornare verso il Passo del Tornarlo, dove è parcheggiata l'auto, che si raggiunge in meno di 25 minuti.

Tratto da "Sentieri Piacentini" di Giorgio Carlevero