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Il Monte Menegosa e il Monte di Lama, con la Costa di Monte Pelizzone fino al Monte Carameto, costituiscono la testata della conca da cui, alimentato da innumerevoli rigagnoli, comincia a scorrere il torrente Arda. Si è ai confini con la provincia di Parma, nei pressi di Varzi; la Costa di Monte Pelizzone, in particolare, rappresenta la linea di demarcazione naturale tra Piacentino e Parmense. È una zona in cui le altezze delle cime sono tutte equamente distribuite sopra i 1.300 metri; in particolare il Menegosa, con i suoi 1.356 metri, è il più alto di tutto il crinale. Ciononostante è facilmente raggiungibile, con buona parte dell'esiguo dislivello che lo separa dal punto di partenza concentrato nel tratto finale, l'unico in cui sia necessaria una moderata prudenza. Una volta in vetta si può stare tranquilli, poiché ci si trova su un piano ampio quanto basta a muoversi in libertà, pur di non avvicinarsi troppo ai margini.
Attraverso una stretta sella di collegamento si può anche arrivare al grande prato disteso in pendenza sopra una massiccia protuberanza della vetta, e dal suo limite superiore affacciarsi sulla valle dalla quale si raggiunge Morfasso. La camminata è consigliabile in tutte le stagioni, anche se l'invito all'attenzione va ribadito in presenza di neve e, soprattutto, di ghiaccio, sempre limitatamente ai metri finali. L'itinerario qui proposto non è il più breve possibile; la salita da Teruzzi sarebbe sensibilmente più corta. La scelta è motivata, oltre che dal voler prolungare il piacere di camminare tra i boschi, dal dislivello, che con la scelta adottata è minimo. I 320 metri che separano Teruzzi dalla cima, esattamente il doppio di quelli qui necessari, vanno percorsi in uno spazio che è circa la metà del tragitto scelto; la pendenza media da affrontare è quindi quattro volte più accentuata.
Da Bettola si sale a Prato Barbieri, dove si prosegue verso il Passo di Santa Franca. Arrivati al valico, che è posto poco oltre la bella chiesa isolata fra le querce che gli dà il nome, lo si supera di poche decine di metri finché, sulla sinistra, si scorgono i segnavia di inizio sentiero, in prossimità dei quali si parcheggia.
Il segnavia biancorosso riporta il numero di percorso 901. Si incontra quasi subito un bivio al quale si tiene la destra, poi si entra in un prato in cui si ignora la ripida salita che ci si trova di fronte, seguendo invece un segnavia che si intravede a destra su un albero. Si percorre dunque lo spazio erboso nel senso della sua pendenza, che è, appunto, a destra, e ci si dirige verso una macchia d'alberi, sempre aiutati dalle indicazioni. Quando si entra nel bosco occorre un po' d'attenzione, perché i segnavia non sono molto frequenti e le piante sono abbastanza rade, suggerendo a volte sentieri inesistenti. Dopo meno di 10 minuti ci si immette, piegando a sinistra, su una carrareccia che presto prende a salire, quasi lastricata da pietre che sembrano essere state collocate ad arte. In 2 minuti si arriva a un intricato crocicchio nel quale convergono, compresa quella che si sta percorrendo, cinque vie; si tiene la prima a destra, ancora una volta aiutati dal segnavia, a meno che si desideri salire sul Colle il Guttarello che, con la scelta qui proposta, viene aggirato.
Per più di 20 minuti si cammina nel bosco in un alternarsi di salite e discese, con prevalenza di queste ultime, poiché quando si esce allo scoperto, in un prato, si è vicini ai 1.196 m che rappresentano il punto più basso del percorso. Qui si presentano tre vie: si segue quella forse meno evidente, la prima a destra; il bollo biancorosso apparirà 30 m più avanti a rassicurare sulla scelta. In 5 minuti si arriva alla base della vetta e, naturalmente, bisogna prepararsi all'unico sforzo previsto. La salita è subito consistente, ma ripaga della fatica offrendo panorami sempre più suggestivi sulla stretta valle che si svela a sinistra. In un quarto d'ora si raggiunge una piccola sella che divide uno sperone, a sinistra, dal cocuzzolo meta dell'escursione, a destra; se fino ad ora si è rimasti tra terra, erba e alberi, adesso prevalgono le rocce, ma solo per qualche minuto, perché la cima è presto raggiunta.
L'altra cima, quella settentrionale, coperta da un invitante tappeto erboso, è obiettivo troppo ghiotto per essere trascurato. Una sottile cresta posta come un ponte sospeso la unisce a quella principale; percorrerla è questione di 6 o 7 minuti. In un breve tratto, piuttosto stretto, è bene stare attenti, in particolar modo in pieno inverno: la neve, aiutata dal vento, ha la cattiva abitudine di costruire apparenti piattaforme ben oltre il supporto sicuro offerto dalle rocce sottostanti. Il ritorno si effettua lungo la stessa strada seguita all'andata. Negli ultimi minuti è bene tenere gli occhi aperti, in cerca dei bolli biancorossi; poco dopo aver passato l'incrocio a cinque vie descritto in apertura, il sentiero piega a destra, tra gli alberi, mentre la mulattiera invoglia ad andare dritto; attenzione, dunque, al segnavia. Come all'andata, un'ora è necessaria per tornare alla macchina.
Tratto da "Sentieri Piacentini" di Giorgio Carlevero
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