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Rocca d'Olgisio

La provincia di Piacenza non è solo patria di vini e salumi: ha le sue tradizioni, le sue opere d'arte, le sue valli e le sue leggende. E' un luogo da visitare a fondo, perché ogni paesino, ogni angolo, nasconde una storia. Che sia storia pura, di quella da raccontare sui libri di scuola, o semplice leggenda, magari raccontata dai nonni ai piccoli nipoti che stentano ad addormentarsi, non importa: il fascino di queste storie, di queste favole, rimane immutato, così come il fascino dei racconti di dame e cavalieri che ancora popolano il folklore e le tradizioni della nostra zona. 

Così anche i numerosi castelli che sopravvivono nella provincia, arroccati su verdi colline o riutilizzati come "villaggi turistici", conservano tra le pietre, all'interno delle proprie mura, i ricordi e i venti che in secoli e secoli di storia vi si sono depositati, memoria di tutta la Storia che li ha attraversati. Un bell'esempio ne è la Rocca d'Olgisio, splendida ed affascinante struttura che sembra essersi fermata ai tempi della sua costruzione. 

La tradizione vuole che il castello all'inizio del V secolo appartenesse a un nobile di nome Giovannato. Le prime notizie certe che ci sono pervenute risalgono al 1037 quando Giovanni (canonico nella cattedrale di Piacenza) cedette la proprietà ai monaci di San Savino, che la mantennero fino al 1296. Per un centinaio d'anni, periodo storicamente turbolento, si succedettero vari proprietari fino al 1378, quando Galeazzo Visconti assegnò la rocca e il feudo a Jacopo Dal Verme, famoso capitano di ventura di origine veronese. I Dal Verme la mantennero, con vari periodi di interruzione, fino all'estinzione della famiglia nel XIX secolo. 

Con vari passaggi di mano, durante i quali venne completamente depredata degli arredi, arrivò nel 1979 alla famiglia Bengalli che ha provveduto alla ristrutturazione e al ripristino dell'antico splendore. Tre cinte murarie, di cui l'ultima costruita nell'ottocento, circondano il complesso di fabbricati di epoche diverse a cui si accede attraverso due ingressi. Sullo stipite del portone, che permette l'ingresso dalla terza cinta muraria nel cortile, è scolpito il motto "Arx impavida": questo accesso era dotato fino all'inizio dell'ottocento di ponte levatoio e protetto da un'inferriata a saracinesca. All'interno del cortile è situato il pozzo, profondo una cinquantina di metri su cui insistono leggende di passaggi segreti e vie di fuga dal castello. 

Nel complesso possiamo individuare: l'oratorio, la torre della campana, il mastio con saloni affrescati e un loggiato di vedetta cinquecentesco. All'esterno poco oltre le cinte di mura, vi sono alcune grotte, che ospitavano una necropoli preistorica, sono legate ad avvenimenti leggendari e sacri: la Grotta delle Sante (Faustina e Liberata), dei coscritti e della goccia.

Oggi si offre ai turisti in tutta la sua maestosa bellezza per visite guidate, convegni, banchetti e pernottamenti. 


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